restauratore
Quando la Visitazione di Carmignano varcò la soglia del mio studio, Pontormo non era certo un ospite sconosciuto, dacché nel 2010, in occasione della mostra tenutasi a Palazzo Strozzi su Bronzino1, tre dei quattro tondi realizzati per i rispettivi pennac- chi della cappella Capponi nella chiesa di Santa Felicita a Firenze furono oggetto di un restauro in loco. Le operazioni effettuate furono difformi e particolari, in quanto ogni singola opera necessita (e merita!) uno studio preliminare e personalizzato atto a procedere in seguito con il restauro effettivo. Un piano d’azione però principia da ciò che il visitatore solitamente non vede, ovvero il supporto dell’opera (fig. 1), per poi approfondire via via ogni singolo strato, dalla preparazione al colore, fino alle vernici che ricoprono il tutto. Questo approccio, non necessariamente universale, sarà il filo conduttore di questo scritto, che ci permetterà di condividere gli abbracci e attraver- sare i sentieri multicolori di maestro Jacopo.
Il legno come elemento vivente merita una storia a sé, che inizia proprio dalla pianta più utilizzata: il pioppo. Quando la “buccia” cadeva dalle tavole accatastate e ormai stagionate, si regolarizzavano le singole forme. Cinque assi, le più dritte (quattro con il taglio intermedio radiale e una col taglio tangenziale) si resero piane con due stru- menti: l’ascia per il grosso del lavoro e lo “sgrossino a lama stondata e taglio netto” per quello minuzioso. Le assi misurano 206 cm in altezza e variano in larghezza tra i 38 cm di quella più larga e i 16 cm di quella più stretta: sotto questo aspetto non ve n’è una uguale all’altra.
Appena regolarizzato, il legname aveva un aspetto biondo chiaro, mentre ora il tempo lo ha reso quasi bruno; in certi punti alcune zone recise dai denti della sega rizzano il pelo ancora irsuto (fig. 2) e addirittura due delle assi presentano il cosiddetto “scia- vero”, cioè la parte appena al di sotto della corteccia risparmiata dal taglio del tronco. I nodi inglobati nella fibra furono mantenuti, benché se ne sapesse la dannosità per il colore a lungo andare, mentre altri, mezzi vuoti, vennero asportati, e lo scasso fu riempito con un tassello di pioppo a forma di losanga, attualmente visibile a rilievo sotto il colore.
Successivamente, con una pialla a lama stretta, si tracciarono tre inci- sioni parallele di circa 1,5 cm poste a 40 cm di distanza l’una dall’altra, dette “linee di livello”, per guidare la regolarizzazione dello spessore delle assi, oltre le quali lo strumento-scavatore si sarebbe fermato e il tavolato avrebbe così raggiunto l’aspetto come lo vediamo oggi (fig. 3).
L’assemblaggio fu poi eseguito per mezzo di colla di caseina, stesa a freddo tra le ta- vole, e dell’inserimento nel cuore delle singole assi di nove tasselli di legno duro, detti “ranghette”, su ognuno dei quali si incastrarono due cavicchi a forma di cilindro; le loro piccole teste fanno ancora capolino sul verso pittorico. Alle due estremità furono infine poste le due traverse di larice a coda di rondine, rastremate nello stesso verso, più strette in cima e più larghe in fondo: furono inizialmente pensate uguali, ma quella in basso fu allargata di un centimetro affinché potesse meglio sostenere la struttura. Si contano poi ben cinquantatré inserti “a farfalla” in corrispondenza delle commettiture, inseriti probabilmente in un restauro precedente alla mostra del 1956. Dopo ciò si ese- guì finalmente la preparazione con più mani sovrapposte di gesso bianco-viscoso e colla bollente che, colando sui bordi esterni, conferma le dimensioni originali della tavola.
Le soluzioni preliminari ideate da Jacopo sono fortunatamente sopravvissute in un bellissimo quanto piccolo disegno (326 mm di lunghezza e 240 mm di larghezza, cat. 4) conservato al Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi (inv. 461 F). Il disegno mostra l’intera composizione descritta con dovizia di particolari, realizzati a pietra nera con tratti leggermente sfumati per i mezzi toni e con tratti paralleli e obli- qui nei punti più in ombra. Sul recto del foglio è presente la quadrettatura, eseguita a pietra rossa a tratto appuntito e strutturata in quattordici riquadri verticali e dieci
orizzontali, ognuno dei quali misura 20,9 x 20,3 mm. Il disegno, secondo la prassi del tempo, è stato in seguito riportato a carboncino e a mano libera sul gesso ben rasato della tavola attraverso la tecnica del “quadrettato”2, ingrandendolo sette volte e mezzo nel pieno rispetto delle misure finali della probabile nicchia sull’altare. Il grado di dettaglio del disegno varia per importanza del soggetto, pertanto tende a semplificarsi nelle architetture: quella di destra con la balaustra, ad esempio, è strutturata con sole sette linee verticali, poi incise direttamente sulla tavola, e la gradinata è a sua volta formata da altrettante linee orizzontali. L’architettura di sinistra, di contro, è visibile solamente tramite una porzione cubica di palazzo e di torre, in quanto il lato sinistro del foglio è stato rifilato. Non possiamo sapere, dunque, quanto la composizione nel riporto su gesso o nel dipinto finale sia fedele al disegno originale o sviluppata in se- guito durante l’esecuzione della tavola.
Cercheremo ora di mettere a confronto il disegno su carta e la soluzione finale dell’o- pera attraversando il colore tramite la riflettografia infrarossa3 e mettendo in relazione il primo col riporto di questo sulla preparazione gessosa della tavola (fig. 4). È proprio attraverso questo tipo d’indagine che sono emersi una serie di pentimenti e ripensa- menti dell’artista, lasciandoci fantasticare su un Pontormo pensieroso che rimugina più e più volte sulla composizione e sui dettagli da incidervi: occhi appena abbozzati come punti neri; bocche che danno l’idea di un perpetuo aprirsi e chiudersi; mani che ritirano mollemente le dita e piedi che spesso si spostano alla ricerca di un movimento nuovo e instabile, come quelli dell’ancella a sinistra, pensati e ripensati più volte. Iniziamo proprio dall’ancella giovane (fig. 5): nel disegno il viso e i capelli sono più inclinati verso sinistra e il volto appare più rotondeggiante. Gli occhi, rivolti nella stessa direzione e non verso lo spettatore, sono eseguiti realizzando prima un semplice cerchio e poi aggiungendo la pupilla. Il velo sembra essersi intorcinato distrattamente, lasciando i capelli liberi di scarmigliarsi al vento, al contrario della compostezza ostentata nel disegno sulla tavola e successivamente nel dipinto. La veste corrisponde invece quasi totalmente nei suoi tratti più evidenti in entrambe le redazioni, se non fosse per l’aderenza sulla coscia più pronunciata nel dipinto concluso. I piedi sono, come già detto, i più rimeditati: nel disegno risultano frontali, sovrapposti e leggermente spostati, ma dalla riflettografia emerge un piede rivolto di tre quarti, rigirato poi nuovamente in una soluzione mediana (fig. 6).
L’ancella anziana presenta nel disegno un viso più largo, seppur mesto, e meno ovale di quello disegnato sulla tavola, dove il velo risulta più coprente. In questo caso la rifletto- grafia evidenzia inoltre l’aggiunta del piede realizzato con pochi tratti intuitivi, laddove in origine l’intera porzione inferiore era avvolta in un confuso viluppo di panneggi. La veste azzurra della Madonna vicino alla spalla forma, sul disegno, un unico e sem- plice risvolto sulla manica, dove le pieghe sono più semplificate, mentre sulla tavola il velo cade sul collo, copre l’orecchio e si adagia sulla spalla. La mano che afferra la cugina è più tozza e meno affusolata, anche se mantiene l’apertura del dito indice. Le gambe sono più flesse e dinamiche, posizionate di profilo, il manto più aderente sul polpaccio sinistro forma una piega a forcella, sostituita poi sulla tavola da due pieghe e un groviglio che casca fino al tallone dell’altro piede. Quest’ultimo è stato ripensato per ben tre volte sul disegno e due sulla tavola. In quest’ultima la manica rosa è stata ridotta e coperta dal manto blu fino a metà dell’avambraccio. La figura meno tormentata è santa Elisabetta. Il manto ocra rossa e il velo del capo sono pressoché identici in tutte le versioni, piega su piega, come anche il risvolto sulla coscia. Il suo volto, nel disegno, è più proteso verso la Madonna e l’espressione della bocca più seria. Il piede sinistro mostra dei ripensamenti sulla sua inclinazione che non risultano dalla riflettografia. Il destro è parallelo al suolo e coperto obliquamente dal manto aranciato, che cade e si trascina sul terreno; nella tavola, al contrario, il lembo viene accorciato per far comparire il piede dell’ancella anziana.
La sua mano, che afferra il fianco di Maria, mantiene il pollice alzato anche nel disegno sul tavolato, mentre l’opera compiuta ci mostra il pentimento di Pontormo: il pollice viene dipinto nuovamente al di sopra del blu e si adagia sulla piega in ombra dell’ascella (fig. 7). I palazzi e i tetti spioventi, rispetto al disegno, aumentano notevolmente di volume e sono incisi sulla preparazione, mentre le scenette di genere, come quella dei due sdutti avventori e della massaia vennero aggiunti in seguito. Anche lo stipite della porta, la balaustra e la scala presentano incisioni dirette e sottili sul gesso secco.
È ormai giunto il momento per Pontormo di rivestire di colore le sue figure. Ragio- nevolmente fu il probabile committente della Visitazione, quel Bonaccorso Pinadori ritratto dal Bronzino secondo il Vasari4, ad aver fornito all’artista colori e pennelli, in quanto egli stesso commerciante di colori e altre materie prime. I pigmenti puri, o mescolati fra loro mediante un legante oleoso5, furono stesi con pennellate decise, sovrapposte e a volte quasi trasparenti. Non è cosa facile scoprire il cronoprogramma pittorico di Pontormo: si possono fare solo alcune ipotesi sull’impostazione generale del lavoro, specialmente grazie all’osservazione a luce radente della sovrapposizione parziale e casuale degli impasti di colore. È probabile che, dopo aver inciso sulla pre- parazione con uno stilo a punta fine le linee architettoniche, Pontormo cominciasse ad abbozzare i detti palazzi e il terreno sassoso con pennellate di biacca mescolata al nero di carbone, calibrando i toni grigi per simulare la pietra serena e aggiungendo ocra gialla per la pietra forte, compreso il parallelepipedo (forse il perduto carcere delle Stinche) dietro santa Elisabetta (fig. 8). Proprio quest’ultima fu la prima figura su cui pose il pennello: inizialmente impostò il manto arancione6, dipingendo di getto e sfumando le pieghe più in luce con giallo di stagno e biacca7, e i mezzi toni e gli scuri con la progressiva aggiunta di terre brune e cinabro. Passò quindi al resto: realizzò la mano dellaVergine adagiata sulla spalla e il velo cinereo8 in un continuo alternarsi di strati di colore, concluso dalla pennellata veloce del pollice; strinse poi la cintura e riempì i vuoti sulla veste con verde malachite9, concludendo dunque con i carnati del viso e del piede. Il volto della santa, come anche delle altre donne (fig. 9), prende forma rapidamente con pennellate corpose di biacca e cinabro stese a mano libera con un pennello piatto; tratti fini e liquidi delineano il contorno delle pupille, carat- terizzate sempre da un punto scuro e iridi nette. Alcuni tocchi di biacca e terra verde infondono una fissità languente, mentre i nasi e le bocche sono profilati col cinabro in sottili sfiammate di luce rossa proveniente dal basso.
Una linea sottile grigio chiara, che in realtà è il colore del velo dell’ancella anziana risparmiato, mette in evidenza il profilo di Maria: un’invenzione di Jacopo per far emergere le sue figure. Con ancora i colori oleosi, Jacopo pensò bene di dar corpo a quella che può considerarsi un’appen- dice della figura mariana, una sua comprimaria, ma frontale: l’ancella anziana. Stesso velo, stesso volto, tutto però più in ombra e dipinto con la medesima tecnica pittorica. Nei giorni seguenti, ma non sappiamo quanti, diede inizio alle altre due figure, la Vergine e l’ancella giovane. Impastò nuovamente gli incarnati con biacca e cinabro e dipinse il volto dellaVergine e un leggero strato di capelli. Pensò bene di abbigliarla con quella tenia ciclamino, intessuta di biacca e lacca di robbia10, e aggiungervi quel guizzo di manica rosa. Segue l’abbondantissimo manto blu di azzurrite11 (fig.10).
L’esecuzione fu disinvolta e il pennello accartocciò le pieghe, le ombre più intense si sovrapposero a tratteggi paralleli e spinati, mentre il manico del pennello graffiava talvolta il colore, ammorbidendo la stoffa con piccoli solchi arrotondati. Il volto dell’ancella si delineò sulla falsariga di quella anziana: prima un soffio di vita, poi la veste rosata che si eguaglia al lembo sul piede della Madonna, il turbante di verde lacca che straborda sui palazzi, il possibile cappello sul petto dell’ancella e infine i capelli vermigli. Ma Jacopo ne fu ancora insoddisfatto e si allontanò, osservò, e decise che quella figura era impossibile. Doveva decidere quale dei due disegni sottostanti far emergere e alla fine dipinse gli occhi, il naso e la bocca più rialzati, optò per un copri- capo meno voluminoso e il piede frontale lo coprì con qualche centimetro di stoffa. Restava il cielo12, già precedentemente abbozzato a pennellate liquide, che scontorna figura 10 / Pontormo, Visitazione (cat. 3): immagine del campione blu prelevato al microscopio ottico (50 μm) in luce VIS (cfr. nota 5), confrontato col manto blu della Vergine.
i volti dei personaggi e le architetture, compreso il triangolo sotto il mento della Ver- gine. La tavola si concluse definitivamente col pietrisco della strada, del suolo e alcuni dettagli: le ciocche bionde e svolazzanti al vento dell’ancella, i due uomini sulla panca di via, la donnina sul davanzale13 (fig. 11), la testa dell’asinello che fa capolino e, infine, le due aureole che levitano sulle teste delle cugine.
Il restauro è cominciato dalla semplice osservazione della superficie dipinta (fig. in apertura nel saggio di Cristina Gnoni Mavarelli in catalogo)14. L’occhio del restaura- tore è il primo strumento utilizzato per riconoscere alterazioni cromatiche, screpo- lature e graffiature che testimoniano il susseguirsi degli eventi e i restauri che l’opera ha subito nel tempo. A questo scopo, le numerose indagini eseguite sul dipinto (come la riflettografia Osiris15, le riprese in infrarosso falso colore (cfr. fig. 5), la fluore- scenza da ultravioletti (cfr. ancora fig. 5), analisi XRF, osservazione dei campioni al microscopio ottico e al SEM con microsonda, analisi EDS ed infine la tecnica gascro- matografica GC-MS, specifica per i leganti, ci hanno fornito informazioni preziose sulla tecnica pontormesca e sulla composizione dei materiali costitutivi dell’opera. Il tavolato, originale nella forma e nelle dimensioni, aveva subìto, come già detto, alcune aggiunte di inserti fra le commettiture delle assi. I tasselli “a farfalla”, inse- riti in una sede di scasso leggermente più ampia rispetto alle loro dimensioni, non hanno compromesso l’equilibrio fra il tavolato originale e i tasselli stessi, evitandone pertanto la necessaria rimozione. Il risanamento di alcune microspaccature fra le assi è stato risolto con l’inserimento di cunei a spessore ridotto (in alcuni casi anche inframezzati tra gli inserti “a farfalla”) di pioppo vecchio e alloggiati alle estremità della tavola mediante colla vinilica. La pulitura è stata eseguita tramite emulsioni a base di cera sbiancata, addizionate a solventi16 volti a calibrare l’assottigliamento e non la totale rimozione delle suddette vernici, tra cui una probabile resina sandracca inglobata nell’azzurro del manto della Madonna, che ha mantenuto tuttavia un tono lievemente glauco. Alcuni danni meccanici dovuti a spostamenti, ammaccature e graffi furono stuccati nei restauri precedenti con cera carnauba, come pure i 1673 fori di tarlo, svuotati singolarmente dalla cera e nuovamente stuccati17 (fig. 12). Le ridipinture a olio che occultavano alcuni elementi originari sono state rimosse dopo una complessa pulitura eseguita con l’ausilio del microscopio ottico18 (fig. 13). Le pesanti ridipinture riguardavano specificatamente il cielo sopra le teste delle figure, i palazzi dislocati alle due estremità, il terreno sottostante e le ombre dei piedi delle quattro donne. La reintegrazione pittorica è stata eseguita con colori ad acquarello e preparazioni a tempera, mentre i ritocchi finali sono stati effettuati dopo la stesura di una vernice protettiva e rivitalizzante a base di resina Retoucher, stesa a pennello e per nebulizzazione (cat. 3).
I due avventori, riemergendo interi sotto alle ridipinture della panca, accavallano nuo- vamente discorsi; sopra di loro, nello stesso palazzo un tempo disabitato, una massaia fiorentina spenzola il panno steso all’ombra di quasi cinquecento anni fa. Ma la comparsa dall’indole più capricciosa e inaspettata è quella che si affaccia dal cantone dello stesso edificio: da uno sfondo metafisico emerge una forma di vita. È un bigio asinello curioso inserito da maestro Jacopo per accompagnare quel sacro incontro con un sorriso (fig. 14).
Desidero ringraziare amici e colleghi che hanno partecipato in modi e tempi diversi a questo delicato intervento di restauro, in particolar modo Gloria Verniani, mia assistente di fiducia; Cristina Gnoni Mavarelli, direttore del restauro; Fabrizio Moretti, finanziatore del restauro; Helena Bernal, Luigina Ciurla, Elena Cupisti, Umi Toyosaki, fidate collaboratrici; Roberto Buda per l’intervento e i suggerimenti sul supporto ligneo;Teobaldo Pasquali per le indagini diagnostiche; Alfredo Aldrovandi per la sua generosa disponibilità; ADARTE di Az- zurra Macherelli e Francesca Briani; Marco Zanaboni e Francesca Modugno del dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa per le analisi chimiche; Antonio Quattrone per la documentazione fotografica; Giulio Aspettati per la documentazione video; Luca Mattedi e Davide Civettini per il loro costante contributo; Bruce Edelstein, Davide Gasparotto e Michele Grasso per i preziosi consigli.
1 A. Baldinotti, in Bronzino 2010, pp. 60-65 nn. 1.3, 1.4, 1.5, 1.6.
2 Il disegno o bozzetto veniva dotato di una griglia di quadrati: attraverso questi era possibile trasferire le linee del disegno, quadrato per quadrato, su un foglio più grande o direttamente sulla tavola ingessata affinché la composizione fosse adeguatamente sviluppata in una dimensione maggiore, nel completo rispetto di ogni pro- porzione delineata.
3 Le radiazioni dell’infrarosso hanno una lunghezza d’onda tra 1 e 2 micron: esse penetrano lo strato pittorico per poi essere riflesse e rilevate da una telecamera. Si ottiene così un’immagine in bianco e nero immediatamente visibile su monitor. L’immagine permette di rilevare e visualizzare i disegni preparatori sotto la pellicola pitto- rica e individuare eventuali pentimenti dell’artista, stato di conservazione, ritocchi, stuccature e mancanze di colore.Tali tracce sono visibili soltanto quando il pittore abbia usato una materia a base di carbone per il disegno sottostante.
4 Vasari 1568, ed. Bettarini-Barocchi 1966-1997,VI, 1987, p. 232.
5 Le analisi, effettuate su un prelievo tramite GC – MS fornito da ADARTE Firenze, all’interno del dipartimento di Chimica e Chimica industriale dell’Università di Pisa, hanno evidenziato la presenza di olio di lino come le- gante del pigmento. La stessa sezione è stata analizzata al SEM ed è risultato che i grani azzurri sono di azzurrite, il bianco in cui i grani sono immersi è biacca, mentre i grani rossi sono di lacca rossa.
6 La spettrofotometria XRF è una tecnica di analisi non distruttiva che permette di conoscere la composizione elementare di un campione attraverso lo studio della radiazione di fluorescenza X.Tale radiazione è emessa dagli atomi del campione in seguito a eccitazione (che può dare anche effetto fotoelettrico), che si ottiene irraggiando il campione con raggi X e gamma ad alta energia. Effetti analoghi si hanno utilizzando fasci di ioni. Per il manto arancione: analisi XRF: piombo, con minor quantità di mercurio (riferibile al cinabro, solfuro di mercurio) e ferro (indicativo di un’ocra rossa o gialla).
7 Analisi XRF: piombo (biacca), stagno (giallo di piombo e stagno).
8 Analisi XRF: piombo e ferro, riferibili alla biacca e all’ocra.
9 Analisi XRF: rame, da cui supporre la presenza di malachite (carbonato basico di rame, di origine naturale minerale), e insieme una piccola quantità di piombo (probabile biacca).
10 Analisi XRF: piombo, mentre la minor quantità di rame potrebbe riferirsi alla veste sottostante.
11 Analisi XRF: rame (e piombo in minor quantità), indicativo dell’azzurrite.
12 Analisi XRF: notevole presenza di piombo unita a una piccola quantità di rame, equivalente all’azzurrite me- scolata alla biacca.
13 È possibile ipotizzare che l’edificio da cui si affaccia la donna sia identificabile con la stessa architettura rap- presentata da Filippino Lippi nella Pala Nerli conservata in Santo Spirito a Firenze (o sia comunque a questa ispirato).
14 Il restauro si è svolto da novembre 2013 a marzo 2014.
15 Osiris con sensore InGaAs, sensibilità da 900 a 1700 nm.
16 Nello specifico sono stati utilizzati solventi quali acetone, alcol isopropilico, trietanolammina (TEA), White Spirit.
17 Stucco a base di polifilla iniettata nel foro e successivamente con gesso e colla di coniglio.
18 Nello specifico sono stati utilizzati il microscopio ottico Nikon con fibre ottiche eTrietanolammina dispersa in emulsione cerosa, neutralizzata da ligroina.