PONTORMO, CAPPELLA CAPPONI CHIESA DI SANTA FELICITA FIRENZE.

restauratore

DEPOSIZIONE, (1525-1528)

Analisi scientifiche

Attraverso la fluorescenza ultravioletta siamo riusciti a capire dove i restauratori sono intervenuti prima di me, in particolar modo si sono evidenziati i ritocchi alterati sui volti e sulle vesti e gli strati di vernice sovrapposti. Le «bruciature di candela» avevano bruciato il colore e la preparazione col fluttuare della fiamma, e se ne trovano a diverse altezze a seconda del posizionamento dei lumini e delle candele. Col tempo, queste ferite sono state stuccate e ritoccate. Le abbiamo ritrovate e suturate proprio come una ferita vera, quindi rimosse le antiche ridipinture e le stuccature debordanti sul colore originale.

Riflettografia infrarossa

La riflettografia infrarossa ha evidenziato il disegno preparatorio eseguito con ricalco da cartone e ripreso in poche zone con tratti acquerellati. Dall'idea che nasce sul taccuino e che si può sviluppare su fogli di carta, l'intera composizione veniva disegnata di nuovo su un cartone, di norma a dimensione naturale, ma poteva essere anche a pezzi: questo serviva al pittore per ingrandire le immagini. L’ingrandimento avveniva tramite una quadrettatura sia del foglio sia del cartone, variando le misure (tre, quattro anche dieci volte più grande). Il verso del cartone era annerito dal carbone, la mano calcava i contorni con uno stilo arrotondato direttamente sulla tavola ingessata e ben rasata, facendo attenzione a non incidere troppo e creare strappi. Quando i cartoni lasciavano la tavola, si vedeva quest'immenso disegno (immenso nel senso che, da un piccolo foglio, si raggiungeva la dimensione, come in questo caso di oltre tre metri per due, era come un miracolo, come se le figure si fossero ingigantite da sole). Molte volte, per far aderire meglio il ricalco, si prendeva un pennello intriso con un po' di acqua e poca colla, e si passava sul disegno, di modo tale che il fissaggio fosse assicurato. Si notano i tratti neri che scontornano i visi e definiscono parti anatomiche come bocche, nasi, mani e piedi; numerosi sono i “ripensamenti” sui piedi della figura di sinistra che sostiene il Cristo morto e sul volto del Cristo. Si nota inoltre un’irrequietezza unica nei piedi che sembrano non stare fermi: segno forse che il pittore (dal tratto deciso come Pontormo) cercava in ogni minima articolazione l’equilibrio perfetto dei corpi in un’opera dal forte dinamismo, in continuo movimento circolare.

Supporto ligneo

Il supporto ligneo della Deposizione è composto da sei assi di pioppo, che mantengono ancora una straordinaria planarità. Questo lo dobbiamo alla scelta del legname tipico delle zone toscane, il pioppo. Si scelsero le assi migliori, cioè quelle con il taglio subradiale, vale a dire più vicine al midollo perché si imbarcavano di meno. Nel corso delle lavorazioni si tolsero alcuni nodi e si sostituirono con tasselli di legno di forme lineari e non rotonde. Solo una lieve spaccatura in alto a destra è stata risanata con l’inserimento di una piccola sverza di legno di pioppo e colla. Un biocida a base di permetrina steso a pennello su tutto il supporto lo conserverà e servirà da prevenzione contro i tarli.

Pellicola pittorica

I colori e la preparazione sottostante non presentavano problemi se non qualche lieve sollevamento, su cui siamo intervenuti con microiniezioni di resine acriliche. I restauri subiti nel tempo hanno in parte compromesso alcune cromie che in origine risultavano ancora più squillanti. Un importante restauro fu quello di Otto Vermehren, prima che l'opera nel 1935 fosse scelta da Ojetti per essere esposta a Parigi a l’Exposition de l’art Italien de Cimabue à Tiepolo.

La pulitura è stata messa a punto con l’aiuto di emulsioni cerose e solventi chetonici, calibrando i tempi di contatto attraverso lievi massaggiature con pennellesse morbide, in modo da rimuovere per gradi le vernici ingiallite e i vecchi ritocchi, fino a raggiungere la cosiddetta “pelle di rispetto” oltre la quale il colore andrebbe a soffrire. Le cromie originali sono riemerse, soprattutto il manto della Madonna è tornato azzurro anche nei toni intermedi del celeste e del grigio celeste. Gli incarnati hanno ripreso un tono più rosato e le vesti ancora ben conservate si sono riaccese nei rossi, nell’arancio e nel verde. Dopo aver rimosso le stuccature (sia in stucco che in cera sulle, applicate sulle antiche bruciature di candela e sui fori di tarlo), è stata eseguita una nuova stuccatura con polifilla e gesso e colla. La reintegrazione pittorica delle immagini (con colori a tempera sulle stuccature e con acquarelli sulle zone svelate) è stata perfezionata ulteriormente con pigmenti puri in polvere e vernice dopo una verniciatura generale a pennello. Una nebulizzazione della medesima vernice ha rifinito ulteriormente la superficie pittorica, di modo che le immagini possano essere viste e recepite nella loro totalità senza una troppa interferenza.

La tavolozza di Pontormo

I colori della Deposizione sono stemperati con toni più chiari e mantengono le ombre ridotte al minimo, per lo più inesistenti. Le tinte impiegate sono così chiare, così simili nell'intensità, che le parti in piena luce sono a stento distinguibili da quelle appena in ombra e queste da quelle pienamente in ombra. La tecnica riscontrata tramite analisi chimiche selettive ripetute su vari colori ha evidenziato l'uso della tempera all'uovo, mischiando albume e tuorlo d'uovo come legante per i pigmenti in polvere utilizzati dall’artista. La maggior parte dei colori minerali risultano impastati con il bianco di piombo, vale a dire la biacca. E’ per questo che l'opera si illumina indipendentemente dalla provenienza della luce, anche se la luce organizzata dal Pontormo proveniente da destra, com'è realmente nella cappella, crea effetti singolari sulla tavola, colpisce o accarezza le figure con minime aggiunte di bianco. Prevalgono i toni dell'azzurro e del celeste laddove l'azzurrite si mescola con la biacca, ma anche col nero di carbone, col blu lapislazzulo, soprattutto sulla veste della Madonna. Il cielo è composto solamente da lapislazzulo e biacca. Gli incarnati sono eseguiti nei toni del rosa, con biacca, rosso cinabro e un po' di terra rossa, mentre i riccioli delle capigliature come quella del Cristo sono a base di ocra gialla e ocra rossa. I verdi a base di rame si mescolano col bianco o col giallo di piombo, come il panno sotto alla figura del trasportatore, privato dalle antiche puliture del cosiddetto “resinato di rame” che dava lo scuro alle pieghe. La veste di questa figura segue l’anatomia del corpo senza interruzioni, come un tatuaggio, ed è composta da lacca di garanza e biacca, con qualche sfumatura di celeste. Pontormo usa pennelli diversi, dipinge i tratti minuti con pennelli più piccoli, mentre altri per ottenere pennellate più liquide, o sovrapposte come squame di pesce.


AFFRESCHI

Restauri precedenti

Le prime notizie certe di restauri dell’Annunciazione risalgono al 1620 in occasione dell’inserimento del tabernacolo marmoreo commissionato dal cardinale di Carprentras devoto a San Carlo Borromeo. A questo periodo risalgono i primi rifacimenti delle figure in prossimità dell’altare stesso a seguito della demolizione di parte dell’opera. Questi rifacimenti risultano ancora presenti fino all’intervento eseguito nel 1964, quando tutta l’opera viene parzialmente liberata dalle vecchie ridipinture. Nel 1967, a seguito dell’alluvione del 1966, si decide di procedere allo stacco dell’opera dal supporto murario. E’ durante quest’ultimo intervento che si procede alla totale rimozione di tutte le ridipinture riscoprendo finalmente la composizione e la cromia originali.

Diversa invece la sorte delle pitture originariamente presenti nella cupola raffiguranti il Padre Eterno e profeti dipinte dallo stesso Pontormo. Suddette pitture vennero irrimediabilmente perse durante i lavori di decapitazione e rifacimento della nuova cupola avvenuti nel 1766 a seguito della decisione di costruire un palchetto adiacente al corridoio vasariano al di sopra della cupola. La nuova cupola venne decorata con vedute prospettiche da Domenico Stagi, successivamente ricoperte da diversi strati di scialbo che la celavano alla vista. Probabilmente nel 1972 per esporre le opere alla mostra “Firenze Restaura” si procedette alla demolizione parziale dei supporti in masonite e al rincollaggio su un nuovo supporto in vetro-resina. Si ha notizia di un viaggio in Giappone alla mostra Capolavori del Rinascimento italiano della sola figura della Vergine nel 1980 e si ipotizza che in questa per l’occasione sia avvenuta anche una revisione del restauro pittorico.

Restauro attuale

L’attuale restauro ha visto lo stacco dei dipinti dal supporto murario dopo la rimozione delle viti di ancoraggio che ne fissavano i bordi esterni alla parete. Il trasporto nel transetto della chiesa e il trasferimento degli affreschi su piani di lavoro ha permesso lo svolgimento delle successive operazioni. I supporti in vetroresina garantiscono ancora una conservazione idonea e duratura nel tempo, pertanto non si è resa necessaria la loro sostituzione.

La pulitura è stata effettuata tramite impacchi reattivi di carbonato di ammonio diluito al 10% in H20 e mantenuto a contatto con le superfici per tempi brevi: questa operazione ha permesso di rimuovere le ridipinture sullo sfondo e i numerosi ritocchi superficiali. Le originali e delicate finiture a secco sono state protette con resina acrilica e tamponate con acqua distillata, mentre le numerose stuccature che risultavano dissonanti per colore e impasto sono state rimosse e nuovamente colmate con una malta a base di grassello di calce, polvere di marmo, polvere di travertino e sabbia di fiume setacciata con minima aggiunta di resina acrilica. La reintegrazione finale con colori ad acquarello ci ha consentito di ritrovare le giuste tonalità e al contempo eliminare per quanto possibile alcune lacune risarcendole col metodo “a tratteggio”. La maggior parte delle abrasioni è stata trattata con velature ad abbassamento di tono. Dopo una minuziosa verifica delle zone di ancoraggio al supporto murario, abbiamo sostituito alcuni tasselli in plastica con altrettanti dello stesso diametro per poter successivamente fissare i supporti tramite viti di ottone in parte sostituite. La fessura in corrispondenza dei tagli perimetrali venutasi a creare durante le precedenti operazioni di “strappo” è stata sigillata con malta neutra uguale alla zona che circoscrive entrambe le figure.

Pellicola pittorica e supporti

Gli affreschi, a seguito dell’operazione di stacco, non presentavano un peggiorare dello stato conservativo. L’opera risulta ben adesa al supporto in fibra di vetro, ad esclusione di piccoli distaccamenti sui bordi su cui siamo intervenuti con microiniezioni di resine acriliche.

Il problema principale dell’opera era il degrado e l’alterazione del vecchio intervento di ritocco che, insieme alla presenza di uno strato di sporco superficiale, alterava la lettura cromatica dell’opera. Pertanto è stata eseguita una rimozione di questo strato alterato tramite acqua demineralizzata e soluzione di ammonio carbonato applicata a pennello. In alcune parti si è poi dovuto eliminare tracce di resine presenti sulla superficie, probabili residui di fissativi applicati durante lo stacco, utilizzando un solvente apposito (acetone).

Sono state eliminate e poi rifatte, con malta a base di calce e sabbia, le stuccature non coerenti ed eseguite con materiali non idonei. Infine è stato eseguita l’operazione di ritocco con colori all’acquerello con lo scopo di ricreare il più possibile una lettura più completa e armoniosa dell’opera. Tutte le stuccature a neutro, eseguite nelle parti perse a seguito dell’aggiunta dell’altare marmoreo e delle operazioni di stacco, sono state completamente rimosse in quanto eseguite secondo metodi non più attuali. Sono poi state effettuate secondo una conformazione più liscia con una malta a base di grassello, sabbia e resina acrilica con una tonalità più armonica con l’insieme.

Durante le prime fasi lavorative, in seguito a dei saggi al di sotto delle scialbature presenti sulla cupola, sono state ritrovate le decorazioni prima citate del XVIII secolo. Dopo opportune prove, ritenendo recuperabile gran parte della superficie pittorica, si è provveduto al discialbo, tramite applicazione di alcol e successiva asportazione a bisturi, di tutta la cupola. Il recupero è stato ultimato tramite l’integrazione pittorica ad acquerello.

I colori e la preparazione sottostante non presentavano problemi se non qualche lieve sollevamento, su cui siamo intervenuti con microiniezioni di resine acriliche. I restauri subiti nel tempo hanno in parte compromesso alcune cromie che in origine risultavano ancora più squillanti.

La pulitura è stata messa a punto con l’aiuto di emulsioni cerose e solventi chetonici, calibrando i tempi di contatto attraverso lievi massaggiature con pennellesse morbide in modo da rimuovere per gradi le vernici ingiallite e i vecchi ritocchi, fino a raggiungere la cosiddetta “pelle di rispetto” oltre la quale il colore andrebbe a soffrire.

La tavolozza del Pontormo su muro

Il disegno preparatorio è trasportato sull’intonaco fresco tramite incisione da cartone (sono ancora visibili i segni arrotondati dello strumento utilizzato), seguendo lo schema e rispettando le misure della parete. Il prezioso disegno preparatorio dell’angelo, tratteggiato a pietra rossa e acquarello, è attualmente conservato insieme ad altri disegni preparatori per la stessa Cappella al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi.

Si contano diciassette giornate di esecuzione, otto sull’angelo e nove sulla Vergine, ma non abbiamo certezza della sequenza né dei tempi necessari a maestro Jacopo per dipingere l’Annunciazione. Siamo invece certi che la finestra centrale e la cornice in pietra serena siano gli elementi dai quali si sviluppano le prime fasce di intonaci sovrapposti dipinti con motivi geometrici. Alcune incisioni dirette sono state riscontrate sull’intonaco fresco intorno alla cornice in pietra della finestra, sui peducci dipinti di grigio e sul leggio della Vergine.

Allo stato attuale, dopo l’intervento di strappo post alluvione, il taglio e la demolizione degli intonaci che scontornavano i numerosi elementi architettonici, non ci ha permesso di stabilire con precisione l’inizio delle decorazioni. I colori usati da maestro Jacopo sono prevalentemente a base di ossidi di ferro e variano dalle ocre gialle o bruciate ai rossi più intensi, con probabile uso di smaltino per il blu della veste della Madonna e malachite mescolata al bianco di San Giovanni alternata al violetto per evidenziare la cangiante bicromia del velo.

Le cromie assomigliano in parte alla Deposizione, seguono una luce che si propaga all’interno di una casa fiorentina il cui soffitto voltato e scialbato di calce è sostenuto da peducci in pietra serena. La biacca e i colori di miniera (minio e vermiglione) puri o mescolati sono usati in finiture “a secco” come sulle ali dell’angelo, in parte sulle labbra dell’angelo e della Vergine, mentre le ombre sono ridotte al minimo. Altri colori risultano impastati con il bianco di calce e per questo l'opera si illumina indipendentemente dalla provenienza della luce e crea sul muro come sulla tavola effetti singolari. Gli incarnati sono eseguiti nei toni del rosa, con bianco San Giovanni e ocra rossa, mentre i riccioli delle capigliature sono a base di ocra gialla e ocra rossa, schiarite con aggiunta di bianco di San Giovanni o scurite con nero di carbone. Maestro Jacopo usa pennelli diversi, dipinge a tratti minuti con pennelli piccoli, tratteggiando minuziosamente le zone in ombra come sulla tavola, mentre sfuma le vesti di entrambe le figure, alcune pennellate più nette evidenziano particolari anatomici come mani e piedi.


LA CUPOLA

La calotta in origine dipinta da maestro Jacopo raffigurava Dio Padre con i quattro patriarchi. In occasione della costruzione del coretto soprastante fu demolita quasi totalmente per abbassarne il livello nel 1766. Tuttavia, è stato scoperto che ben 40 cm di cupola originale, quella realizzata da Brunelleschi nel secondo decennio del Quattrocento in laterizio a spina di pesce, si sono conservati a partire dall’imposta circolare. La nuova calotta settecentesca, costruita tramite mattoni in cotto posti a “coltello” fu semplicemente addossata alla base originale e sviluppata con una sezione a sesto ribassata; successivamente su un nuovo intonaco, Domenico Stagi nel 1766 dipinse la falsa cupola con lanterna, decorata a lacunari e medaglioni circolari con teste di puttini alati.

All’inizio dell’intervento di restauro da alcuni saggi preliminari sono emersi lacerti di pittura originale, e pertanto si è deciso di procedere in accordo con la Direzione dei Lavori con la rimozione dell’intera scialbatura che la celava, con lo scopo di riportare alla luce anche questo testo pittorico. Fino ad oggi infatti l’opera di Stagi era nota solo da documenti.

I colori impiegati essenzialmente sono pochi: bianco di calce, nero di carbone, blu smaltino e ocra gialla. La tecnica è propriamente quella settecentesca che prevede intonaci granulosi senza giornate e l’impiego di colori minerali mescolati col bianco di calce. Non è stato possibile conoscere quando l’operazione di scialbatura della decorazione stagesca fu eseguita. Una parte degli intonaci erano mancanti, perché demoliti nel corso del secolo scorso per ospitare lo scasso dei tracciati degli impianti elettrici.

La pulitura è stata eseguita con alcool e acqua per asportare le tinteggiature e successivamente con l’uso del bisturi per far saltare gli strati di scialbatura. Le lacune sono state poi colmate con malte a base di grassello di calce e sabbie fluviali setacciate e la reintegrazione è stata effettuata con colori a tempera ed acquarello stesi a corpo e per velature successive.

Daniele Rossi